Il racconto della dislessia di Andrea Delogu, edito Rai Libri, è scritto in EasyReading
Andrea Delogu è una delle più apprezzate conduttrici televisive e radiofoniche degli ultimi anni, ha condotto con Renzo Arbore e Nino Frassica “Indietro tutta 30 e l’ode” e “Guarda Stupisci”, e da 5 anni è al timone di “Stracult” con Marco Giusti e Fabrizio Biggio. Ogni pomeriggio conduce su Radio2 “La versione delle 2” e in questi giorni è tornata in libreria con la sua ultima fatica: “Dove finiscono le parole. Storia semiseria di una dislessica”. Un libro che è insieme testimonianza e terapia, storia di un percorso e di tutte le tappe che lo hanno composto. Andrea Delogu racconta con vivace intelligenza e profonda sincerità la sua vita di dislessica in un paese dove la dislessia è ancora considerata da molti un disturbo sconosciuto. E lo fa utilizzando un font inclusivo, EasyReading.
Siamo a pagina 10 del prologo quando ci fa un sunto di quello che troveremo nel libro: “Ah, il font con cui questo libro è stato stampato è ad alta leggibilità, adatto sia ai dislessici che ai non dislessici. È sempre un testo scritto, lo so, e per alcuni rappresenterà il peggior nemico sulla faccia della Terra, ma è mio compito cercare di rendervelo più facile possibile. Se non riuscirete a finirlo tutto, non abbattetevi, ve ne riassumo brevemente il succo: anche se soffrite di un disturbo specifico dell’apprendimento, siete fichissimi e avete il mondo a vostra disposizione. Non indietreggiate, procedete a testa alta e non credete a chi cerca di farvi sentire sbagliati. Non lo siete”.
Chi è Andrea Delogu?
«Una ragazza di 37 anni che deve ricordarsi l’età che ha ogni mattina… istintivamente mi sento una ragazzina».
“Dove finiscono le parole” è il titolo del suo ultimo libro. Cosa c’è dentro?
«Tre anni fa ho fatto un TEDx sulla dislessia, a Caserta. Era un argomento che mi sentivo di poter trattare, essendo dislessica, e pensavo potesse essere interessante parlarne. Ecco da quel giorno non ho mai smesso di ricevere lettere, mail, messaggi di ragazzi, genitori, insegnanti che hanno a che fare con i ragazzi con Dsa. Siamo ancora così indietro su questo tema, si pensa sia un problema. Ma come è potuto succedere che il tempo si è fermato? Quando Rai Libri un giorno mi ha proposto di scrivere un secondo romanzo, sapevo che il mio problema con le parole sarebbe stato l’unico stimolo che avrei voluto sviluppare in questo momento della mia vita».
La dislessia… che affare è?
«Sono dislessica, non so come si sta da non dislessici, però posso spiegarti come vedo le cose. Arriva il momento che sei sfinita, continuano a dirti che sei intelligente ma non ti applichi e tu sei lì a chiederti perché siano così bugiardi, perché io mi sono applicata con tutte le mie forze. Il problema è di chi deve aiutarti a capire le cose, non tuo. Occorre affrontare con metodi compensativi in modo diverso e differenziato ogni singolo ragazzo e chi è dislessico deve avere una grande faccia tosta, perché deve mettere da parte il doversi sentire come gli altri per pretendere rispetto, anche e soprattutto per i propri tempi».
Come si spiega agli insegnanti che non è un problema di non volersi applicare ma che è un disturbo dell’apprendimento?
«Occorre parlare, sempre. Gli insegnanti sono persone come noi, che leggono un giornale, guardano la tv, ascoltano la radio. Sono umani in fondo. Occorre che l’opinione pubblica affronti senza reticenze il tema della dislessia e spero che il mio libro abbia un effetto a cascata di testimonianze e che l’argomento della dislessia sia trattato con normalità».
Nel libro parla della dislessia come di un’opportunità. In che senso?
«Ho scoperto di essere dislessica a 26 anni. Fino a quel giorno mi sono sentita “affaticata”, avevo lo stimolo del sapere, volevo leggere ma non ce la facevo, mi stancavo troppo, non capivo perché gli altri andassero più veloci di me. Quando ho capito che non era colpa mia mi si è aperto un mondo davanti. Mi sono presa più spazio, ho iniziato a stare al passo e i colori da tenui sono diventati accesi. Ho trovato me stessa».
Centrale, nel libro, un tema ben preciso: la condivisione. Bene, cosa rappresenta per lei?
«È fondamentale, ti permette di superare momenti difficile grazie a chi ti sta vicino. Parlo di amici, genitori, compagni di classe, professori. Il libro è stato scritto in positivo, non lotto contro nessuno. Semmai, stimolo all’ascolto».
Il suo libro usa un font inclusivo, EasyReading. Come è arrivata ad adottare un simile carattere tipografico?
«In radio ne ho parlato tempo fa dopo aver scoperto dell’esistenza del font da un articolo letto su un giornale. Mi si è parata la notizia davanti agli occhi e mi è rimasta in testa. Mi è sembrato di trovare per caso un seme pronto a germogliare. Sapevo che il prossimo lavoro di scrittura che avrei fatto sarebbe stato con quel font, era quello il carattere giusto, in fondo sono una dislessica o no!? EasyReading aiuta un dislessico a leggere, perché mai avrei dovuto usare un altro carattere? E così quando mi hanno chiamato in Rai Libri, al primo caffè ho chiesto loro se era possibile adottarlo e hanno accettato immediatamente».
È anche il font adottato da Topolino… rivista molto affine ai suoi gusti. Vero?
«Topolino è il protagonista di un capitolo del mio libro, è il mio super eroe da sempre. Da bambina ho imparato a non abbattermi leggendo le sue avventure, gli succedeva di tutto ma lui con la sua vocina era sempre bravo a rialzarsi. Trasformava ogni disastro in qualcosa di inclusivo, arrivando così al lieto fine. Da piccola facevo fatica a leggere Topolino, dopo la scuola, dopo i compiti ma non ho mai permesso a niente e nessuno di togliermi la possibilità di seguire il mio super eroe. Ecco perché quando ho saputo che anche Topolino Magazine usava EasyReading mi è sembrato che il cerchio si chiudesse».
Lavora nel mondo dello spettacolo da sempre e in nessun modo è stata un intralcio per lei la dislessia?
«No, anzi, mi ha dato possibilità di essere considerata. Ero diversa, la mia conduzione era fresca, moderna, non stavo negli schemi, non imparavo copioni, non leggevo il gobbo, improvvisavo e mi arrangiavo con gli strumenti a mia disposizione, andavo d’istinto, la mia era una tv alla Arbore e non è un caso che lui sia il mio grande maestro: negli anni poi ho avuto la fortuna di lavorare con lui e anche in questo caso ho avuto la sensazione che alla fine tutto prendesse senso».
Non legge i copioni, quindi… ma suo marito, l’attore Francesco Montanari, non l’ha mai aiutata?
«Francesco ha una memoria di ferro, lui legge 40/50 pagine di copione e il giorno dopo le sa a memoria. Ha detto che mi avrebbe allenato, ragionando sui concetti. Una sfida che lo affascina».
Arriviamo ai giorni nostri. La rete, internet, i social, sono tutti suoi alleati eppure sono così insidiosi. Come si sopravvive? Come si riconoscono i pericoli?
«Quando qualcosa è torbida la elimino. Se mi insulti o mi colpisci ti blocco. Non do la possibilità a nessuno di potermi ferire. La rete è il mondo e il mondo è stupendo. La rete mi ha aiutato tantissimo e non ci rinuncio per la cattiveria di pochi».
Ha raccontato tutto di sé attraverso i suoi romanzi e non solo. Il coraggio che forme ha?
«Il coraggio ha la faccia tosta, non so che forma sia precisamente ma è quella roba la!».
Lei è la prova vivente che dopo la guerra si può rinascere. Come ci riesce? Come c’è riuscita?
«Grazie a dei genitori che mi hanno fatto vedere che ci si può rialzare sempre. E poi grazie agli amici, i compagni di una vita».
Salone del libro di Torino. La vedremo sul palco?
«Assolutamente sì, presenterò il mio libro il 12 maggio allo stand di Rai Libri, a mezzogiorno, minuto più, minuto meno. Vi aspetto!».
La felicità che sapore ha?
«Ha il sapore delle cotolette panate, sbagliate, di mio marito quando torno a casa felice ma stanca dopo una giornata di lavoro. Se cucino? Io cose grasse e romagnole, lui se la cava alla grande!».
Prima il premio Fabrizio Frizzi appena istituito, poi in Senato ha ricevuto la campanella dal Presidente Elisabetta Casellati. Pare che dobbiamo imparare tanto da lei. Che progetti ha per il futuro?
«Sei matta… non ne ho la benché minima idea. I progetti di lavoro televisivi nascono adesso, per i progetti di vita ho intenzione di dare a mio marito la possibilità di allenarmi».